Il crollo delle navi gemelle

Scriveva John Maynard Keynes che per vincere la depressione economica, assai più efficace d’ogni politica di austerità sarebbe l’intervento statale per ridurre la disoccupazione, anche a costo di pagare gente che scavi buche per poi riempirle. In queste settimane il governo Hollande, seppur agli antipodi delle dottrine del celebre economista britannico, potrebbe essere costretto a metterle in pratica, lasciando perdere le buche e concentrandosi invece sulla demolizione di due grosse navi appena costruite.
L’odissea delle due portaelicotteri gemelle classe Mistral, poste in arsenale nel giugno di quattro anni fa sotto l’allora presidenza Sarkozy e destinate alla marina russa, forse avrà termine nello stesso porto di St. Nazaire in cui son state varate, per mano degli operai che le hanno costruite e che adesso potrebbero essere chiamati a smontarle pezzo per pezzo, destinando quelle complessive quarantamila tonnellate di acciaio ad altri utilizzi.
La vicenda ha avuto inizio nel giugno 2011, quando ancora la Guerra Fredda faceva venire in mente solo un’inquietante età del passato; le “rivoluzioni colorate” organizzate e finanziate dalle oligarchie euro-americane erano agli albori; in Libia c’era ancora Gheddafi, la Siria cominciava appena ad essere investita dalle orde dei barbuti misogini sul libro paga dell’Occidente, i nazi-atlantisti non avevano ancora soppresso la democrazia in Ucraina e in Italia vivacchiava l’ultimo governo Berlusconi, mentre del futuro politico di Monti forse si sapeva solo al Quirinale, oltreché naturalmente a Berlino. Sembra un altro mondo.
Ebbene in quest’altro mondo la società francese Dcns (controllata al 65% dallo Stato) e quella russa Rosoboronexport siglavano un accordo per due portaelicotteri da realizzarsi negli arsenali francesi, per un valore stimato di 1,2 miliardi di euro. Nel frattempo Mosca si dotava di nuovi elicotteri di fabbricazione nazionale da impiegare sui due vascelli, inviava personale in Francia a far pratica e pagava regolarmente le rate stabilite. Tutto sembrava procedere normalmente.
Dopodiché, ad agosto dell’anno scorso, la Ue chinava il capo di fronte alle pretese di Washington e decideva un embargo sulle forniture militari alla Russia, come prologo alle sanzioni commerciali anch’esse vigorosamente richieste dall’amministrazione Usa.
Improvvisamente da ogni angolo dell’area Nato si levava un coro di condanna contro la Francia. Hollande lì per lì dichiarava che almeno la prima delle due navi sarebbe stata consegnata perché i russi in fondo l’avevan già pagata, poi però padron Obama esprimeva il suo “disappunto”, cui faceva eco quello di Cameron in Inghilterra, nonché le lagnanze dei ministri svedesi, polacchi ed altri con terrazza vista Baltico. Cominciava la fase di ostilità aperta contro la Russia e da quel momento guai a chi osasse suonare fuori spartito; il mite Hollande difatti faceva quasi subito marcia indietro. Niente navi per Putin; inutile cercare guai perché diciamo la verità, son tempi in cui a chi fa arrabbiare Washington non gli succede più niente di bello e Parigi val bene un paio di poppe.
Si sa però che l’embargo è efficace a condizione che sia devastante per l’economia di chi lo subisce, altrimenti risulta dannoso quasi esclusivamente per coloro che lo attuano. Così da oggi la decisione di Parigi di non consegnare le navi potrebbe avere conseguenze serie per i contribuenti francesi, sui quali andrebbero a scaricarsi le penali previste per il mancato rispetto degli accordi, per un ammontare probabilmente superiore ai due miliardi di euro.
Per parte sua, Mosca ha chiesto in una prima fase la consegna delle portaelicotteri o in alternativa la restituzione delle quote già versate (900 milioni circa) più le somme che ha speso in questi anni per l’ammodernamento delle infrastrutture portuali e l’addestramento gli equipaggi.
Parigi sa bene che se non consegnerà le navi dovrà sostenere spese enormi e quindi cerca disperatamente di arrivare ad un accordo con la controparte; anche in maniera un po’ grottesca, almeno a giudicare dalla sua recente proposta: restituzione di 750 milioni e consegna delle navi alla Russia, la quale tuttavia dovrebbe impegnarsi a rivenderle immediatamente ad un altro paese, ma che, per carità, non sia uno di quelli sulla lista nera dello zio Sam. In tal modo, riflettono nel salotto di Hollande, la Francia eviterebbe le ciclopiche penali e la Russia in qualche modo riuscirebbe a non chiudere l’affare in perdita.
Resta il fatto che le due Mistral (o se si preferisce la Vladivostok e la Sevastopol, nomi che avrebbero avuto nella marina russa) non sono esattamente due barchette e sono ben poche le forze armate che possono permettersi di farle pesare sul proprio bilancio. Basti pensare che solo per vederle galleggiare lì davanti a St. Nazaire, la Francia spende oltre un milione di euro al mese; se poi si volessero avviare i motori e prendere il largo, la cosa diverrebbe oltremodo dispendiosa. Ecco perchè la completa demolizione, il cui costo è stato stimato intorno ai venti milioni, non è poi così improbabile.
La trattativa, che dura ormai da mesi, pare essersi arenata qualche giorno fa, con la rinuncia ai bastimenti gemelli da parte di Mosca, cosa che naturalmente non cancella il contenzioso di natura finanziaria tra i due paesi. La Russia le portaelicotteri se le costruirà da sola e chi pensa che non saranno gioielli all’altezza di quelli francesi potrebbe sbagliarsi, perché l’Occidente sta velocemente scendendo anche dal suo ultimo piedistallo, quello tecnologico, e il destino multipolare del pianeta lo si intravede anche dalla diffusione di saperi e competenze prima fortemente accentrati nella sua porzione più fortunata.
Sembrerebbe questo un insolito caso di prevalenza delle strategie politiche sugli interessi economici e invece è solo un emblematico esempio di sottomissione ai diktat d’oltreoceano, con buona pace di chi tre anni fa giurava di aver visto al microscopio qualcosa di socialista nel corredo genetico di Hollande. E che oggi deve ammettere che in un’Europa ridotta a sipario dietro cui fare macelleria sociale a beneficio delle oligarchie finanziarie, si è premier solo se si è anche e innanzitutto ossequiosi strumenti dei disegni egemonici americani, rottamatori di diritti, servizi e salari, e nel tempo libero anche di scafi, chiglie e murate.

Lascia un commento