Pessima strategia o solo lungimiranza?

Chi ha compreso la strategia russa in Ucraina alzi la mano. Il fronte è stato fermo per settimane, mentre le puntate russe in diversi settori a sud di Charkov venivano regolarmente bloccate, cosicché questa campagna militare nata come una galoppata s’è trasformata come nel 1914 in una guerra di trincea dove un’avanzata di pochi chilometri è roba da ricamarci un entusiastico bollettino. A differenza di allora e anche della guerra successiva, né da una parte né dall’altra vi sono reparti sufficienti per formare un fronte continuo, perciò quello che vediamo è perlopiù un conflitto tra pattuglie, dove un’avanzata appena significativa diventa rischiosa perché espone i fianchi ad un contrattacco.
Partendo da nord e quindi dal fronte di Kiev, non è molto chiaro il motivo per cui i russi abbiano deciso di abbandonare del tutto il territorio piuttosto vasto che avevano conquistato in prima battuta, corrispondente a buona parte degli oblast di Sumy, di Cernigov e della capitale. E’ sembrato ovvio che lo scopo fosse quello di concentrare le forze nella parte di Donbass non ancora liberata dopo aver constatato che forze già insufficienti erano state eccessivamente diluite, ma si possono opporre almeno tre obiezioni a tale scelta: intanto ciò permette anche agli ucraini di distogliere forze da quel settore per posizionarle dove serve. In secondo luogo un ritiro completo fino ai confini del 24 febbraio comporta comunque da parte russa la necessità di presidiare i confini per impedire eventuali penetrazioni nemiche. E terzo, se per disgrazia qualche plotone ucraino riuscisse a varcare ugualmente il confine, ciò non solo metterebbe a serio rischio gli abitanti dei villaggi russi limitrofi, ma avrebbe una certa risonanza mediatica certamente non favorevole a Mosca.
Sarebbe stato più logico mantenere al nord il territorio conquistato passando sulla difensiva invece di continuare a premere senza costrutto, cosa che avrebbe richiesto un minor numero di reparti e costretto gli ucraini a presidiare il settore, colpendo anche dall’aria eventuali controffensive in virtù dell’assoluta superiorità aerea. E la stessa cosa si potrebbe dire riguardo alla zona di Charkov, dove si nota da settimane un pericoloso avvicinamento dei reparti ucraini ai confini con l’oblast russo di Belgorod.
Un po’ più a sud, vi è stata una significativa avanzata russa oltre Izium con obiettivi territoriali non chiari che certamente non comprendono la ancora lontanissima Dnepropetrovsk (ribattezzata Dnipro dal regime di Kiev) e successivamente frenata per il solito motivo legato alla vulnerabilità sui fianchi. Passando quindi al saliente ucraino con vertice nelle località di Sievierodonestsk e Lisichansk, a quanto pare fortemente presidiate, è in atto da parte russa un tentativo di manovra a tenaglia la cui branca settentrionale ha raggiunto il villaggio di Bilohorovka mentre quella meridionale si appoggia a Popasna, ma un’occhiata alla mappa e il ritmo con cui sono stati finora condotti i tentativi di penetrazione sembra dirci che un completo accerchiamento delle forze ucraine è un obiettivo piuttosto ambizioso, almeno sul breve periodo e a meno che nelle prossime settimane la pressione russa non acquisti un vigore inedito. Tatticamente la manovra russa è ineccepibile ma occorrono forze consistenti per portarla a compimento.
Poco più a sud, è discutibile la scelta di permettere agli ucraini di rimanere a ridosso di Donetsk bersagliandone con facilità i quartieri residenziali con l’artiglieria. Certamente non si possono avere forze sufficienti per fare tutto, ma credo che questa avrebbe dovuto essere una priorità. E mentre in seguito alla provvidenziale conquista della centrale nucleare di Enerhodar, la più grande d’Europa, il fronte di Zaporozhe è diventato tra i meno attivi, lungo la costa del mar Nero l’offensiva russa di è fermata all’importante centro di Kherson dopo aver inutilmente provato a spingersi su Nikolajev, presso la foce del Bug meridionale, cosicché a tutt’oggi la conquista di Odessa, obiettivo cruciale che toglierebbe all’Ucraina lo sbocco al mare e permetterebbe un collegamento terrestre con la Transnistria, rimane un miraggio.
Quanto ai sotterranei dell’Azovstal di Mariupol, su cui certamente a breve potremo gustare qualche film propagandistico americano che ne farà la Stalingrado del “mondo libero”, non mancherebbero gli strumenti bellici per stanare in mezz’ora tutti quelli che vi si trovano, ma probabilmente lì sotto oltre ai nazistoidi asserragliati vi è anche qualcun altro che serve più da vivo che da morto, o magari le prove di quello che stavano combinando a livello di guerra batteriologia le avanguardie delle gloriose aziende farmaceutiche occidentali.
E’ possibile che nelle prossime settimane tutto cambi, che le difese ucraine cedano in qualche punto imponendo a Kiev ad una ritirata su vasta scala, ma per far ciò servirebbe una superiorità schiacciante in almeno un punto del lunghissimo fronte, accorgimento che rientra nell’Abc di ogni campagna militare e che tra l’altro era proprio ciò che i comandanti sovietici si assicuravano prima di dar luogo alle potenti offensive contro gli invasori tedeschi negli ultimi due anni di guerra. E dire che di fronte non avevano esattamente l’esercito del papa.
Perciò la condotta bellica che vediamo oggi applicata, la rinuncia ad impiegare un quantitativo sufficiente di unità tale da limitare nel tempo l’intera campagna, potrebbe avere moventi politici più che militari, anche se rimane arduo capire quali siano. Se l’obiettivo è quello di contenere le perdite, militari e civili, certamente ciò non lo si ottiene prolungando per mesi il conflitto e legandolo ad una serie infinita di scaramucce. Una guerra di movimento è sempre meno onerosa in termini di vite umane rispetto ad una guerra di posizione. Analogamente è difficile pensare a ragioni economiche, considerando il costo dei missili e degli strumenti aerei necessari a martellare le retrovie e la struttura logistica ucraina su un territorio così vasto.
Ma esiste forse un’altra spiegazione. Pur restando nel campo del sospetto, è possibile che una volta compresa la difficoltà di procedere ad un’occupazione veloce e totale dell’Ucraina, Mosca punti allo smembramento del paese e ciò grazie anche agli appetiti polacchi, cui si aggiungerebbero quelli slovacchi, ungheresi e romeni. Una possibilità non così remota, se pensiamo che già da qualche settimana è in progetto l’ingresso di reparti polacchi nella parte occidentale del paese, per ora circa diecimila uomini già armati dell’avvenente denominazione di “contingente di pace”. Sarebbe una buona soluzione per tutti, eviterebbe il rischio di creare un nuovo Afghanistan in cui i russi resterebbero impantanati per decenni dal momento che essi prenderebbero possesso delle sole ma vaste zone russofone e in più appagherebbe con sostanziosi guadagni territoriali l’avidità degli altri paesi confinanti. Magari resterebbe qualcosa anche per gli sfortunati successori di Zelensky, un paesello convergente su Kiev lontano dal mare e dai gasdotti, dove possano sfilare con le foto di Bandera e di altri amati collaborazionisti locali senza più nuocere agli altri.
Ma soprattutto ciò sarebbe un brutto colpo per i disegni americani di annichilimento della Russia ed anzi non è escluso che un tale esito possa favorire una distensione dei rapporti tra Mosca ed i paesi dell’Europa orientale. Sarebbe dopotutto una buona alternativa ad una guerra mondiale.

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