La follia dilaga: l’ora della Lituania

Il giochino ucraino si sta rompendo nelle mani di chi l’ha ideato. Poteva succedere nel volgere di poche settimane nel caso i comandi russi avessero ammassato forze sufficienti a dar luogo ad un’avanzata-lampo. Ma tant’è, così non è andata e anche se si sta combattendo duramente per il possesso di ogni zolla di terra, chiunque può capire due cose molto elementari. La prima è che nessuno sarebbe tecnicamente in grado di far retrocedere i russi dai territori che hanno finora liberato e la seconda è che anche la prosecuzione dell’attuale guerra di logoramento non lascia in prospettiva alcuna speranza al regime di Kiev, che se non fosse eterodiretto dall’esterno avrebbe già chiesto i termini della resa. E ciò non tanto per le perdite che sta subendo al fronte, bensì per la progressiva demolizione delle sue infrastrutture causata dalle incursioni aeree e missilistiche.
L’Ucraina era un paese già economicamente disastrato prima del conflitto aperto con la Russia ed era tenuta in piedi dalle trasfusioni finanziarie dell’Occidente con l’unico fine di utilizzarla come pedina sacrificale nel modo che abbiamo visto. C’è da star sicuri che una volta venuta meno la sua funzione, l’Ucraina sarebbe abbandonata al proprio miserevole destino e al rischio di una frantumazione cui non sarebbero estranei gli appetiti polacchi. Inoltre una volta passata l’estate, il paese si troverà privo di combustibili non solo per il mantenimento di ciò che resta delle sue manifatture, ma anche per le necessità basilari della popolazione. Considerando inoltre che non giungerebbe alcun aiuto dai paesi Ue, ognuno già alle prese con le proprie grane in fatto di risorse energetiche, sembra chiaro che la guerra non arriverà al prossimo inverno indipendentemente dalle prove non proprio brillanti degli alti comandi russi.
Ecco che entra però in scena la Lituania, paese assai più piccino dell’Ucraina ma a questa simile per via delle frequenti commemorazioni ufficiali dei reparti nazisti locali che durante l’ultima guerra mondiale si resero protagonisti dei peggiori massacri di civili sul fronte orientale.
Aprendo una parentesi potremmo chiederci come sia possibile che dopo quasi mezzo secolo di capillare controllo sull’informazione e sull’educazione scolastica, in questi ed altri paesi dell’ex blocco sovietico si siano manifestati fin dai primi anni ‘90 tali rigurgiti non certo episodici, ma ciò meriterebbe un’analisi a parte. Chiusa la parentesi.
Il governo di Vilnius, in maniera improvvida, ha annunciato di voler bloccare il transito di merci che l’adiacente enclave russa riceve dal resto della Russia e che ne garantiscono la funzionalità sul piano strategico. Impensabile che abbia compiuto una simile mossa senza un incitamento esterno, unito alla garanzia di protezione in caso di una reazione militare di Mosca.
Ma è credibile che i gangster d’oltreoceano insieme ai loro capibastone europei abbiano deciso di comune accordo di condurre il gioco così vicino al punto di non ritorno? Se i russi decidessero di aprirsi un varco verso il loro territorio assediato entrando perciò in territorio lituano, l’intera alleanza atlantica si troverebbe in guerra in virtù dell’articolo 5 del proprio statuto. Ma se invece non osasse impegnare in combattimento i reparti russi, la Nato subirebbe una clamorosa perdita di credibilità soprattutto presso i governi ad essa più fedeli. E’ naturalmente possibile ed anzi prevedibile che Mosca non deciderà in tal senso, ma se dovesse farlo le conseguenze sarebbero istantaneamente ingestibili per tutti.
Stiamo forse assistendo da parte occidentale ad una surreale applicazione della “teoria del pazzo”, che può idealmente funzionare se il nemico può ancora arretrare senza perdere la faccia insieme al proprio ruolo di potenza. E’ d’uso attribuire a Nixon l’inaugurazione di tale metodo di confronto ma in verità già Kennedy nel ‘62 l’applicò durante la crisi dei missili davanti a Cuba. All’epoca Chruscëv fece un passo indietro all’ultimo minuto e si trovò un accordo, ma oggi ciò non è più possibile perché la Russia sta lottando per la propria sopravvivenza e non ha più un luogo in cui difenderla se non sulla linea del fronte. Fare il “pazzo” contro chi gioca con le spalle al muro ed ha settemila testate nucleari è da imbecilli, o forse sarebbe meglio dire da pazzi autentici.
Resta il fatto che la Russia dovrà per forza proteggere e fornire assistenza alla sua porzione prussiana sul Baltico e magari si rassegnerà a farlo mediante trasporto marittimo, che è comunque una soluzione più costosa. Prevedibilmente si terrà lontana da atti che potrebbero far sfuggire di mano la situazione, finché ciò sarà possibile. O almeno finora si è comportata in questo modo, ma non potrà farlo per sempre. Dispone della potente arma del blocco delle forniture energetiche con cui può spingere le cancellerie europee più assennate a premere su Vilnius per un ripensamento, ma questa è anche un’arma prevedibile e certamente prevista nell’ombelico dell’impero occidentale. Non dimentichiamo che la guerra in corso è stata provocata anche per recidere i rapporti commerciali tra i valletti europei e la Russia. Che ciò determini il collasso produttivo del continente è una conseguenza per nulla inaspettata ed anzi desiderabile nell’ottica d’oltreoceano ed è pure difficile credere che laggiù non avessero previsto l’effetto boomerang delle sanzioni anti-russe sull’economia dell’area Ue.
Il traballante centro dell’impero si mantiene ormai in piedi saccheggiando la sua propaggine europea, risucchiandone i capitali e piegandone la concorrenza tecnologica e manifatturiera attraverso il divieto di accedere alle risorse energetiche russe, economicamente vantaggiose. Il disegno ormai evidente di ucrainizzazione dell’Europa è reso possibile dai governi-fantoccio installati nei singoli paesi e impegnati a gareggiare in servilismo ai piedi dello zio Sam. Solo i popoli assoggettati possono invertire il processo dando il giro al tavolo, ma ciò non può accadere ovunque e non subito, considerando che l’intera area euro-atlantista sta ormai veleggiando verso la stretta autoritaria ed il regime poliziesco, di cui questo primo biennio di emergenza sanitaria costruita a tavolino rappresenta un efficace banco di prova.
Parallelamente a tale drenaggio di ricchezza ve n’è un altro non raffigurabile sul mappamondo ma legato all’impoverimento del proletariato e dei ceti intermedi a vantaggio del grande capitale e l’attuale stagflazione ne è il segno più evidente. Anche questo è saccheggio, verticale anziché orizzontale, apportatore di ulteriore disoccupazione, perdita del potere d’acquisto e riduzione della domanda, cui i nostri regimi aggiungono l’aumento della pressione fiscale e lo smantellamento dei servizi pubblici. Insomma per vivere in una rivisitazione delle piaghe d’Egitto manca forse l’invasione delle cavallette. Quanto alla morte dei primogeniti, ci penserà l’Oms, organo ormai al guinzaglio delle oligarchie finanziarie, una volta investita di poteri straordinari che renderanno obbligatori i trattamenti sanitari più redditizi per gli investitori, in barba ad ogni diritto costituzionale.
C’è in gioco molto, non solo i riassetti territoriali nell’Est europeo, ma innanzitutto il potere del dollaro come sostegno ad un sistema basato sulla rapina planetaria, insieme ad un modello sociale che ha trovato nella globalizzazione il modo per porre i lavoratori in competizione tra loro a vantaggio di chi non vuole confini allo sfruttamento.
Di solito la guerra la iniziano i giornali e la finiscono i cannoni. Tutti i nostri organi d’informazione sono da tempo reclutati col compito di renderci rassegnati ad un’epoca di privazioni e gli attuali vaneggiamenti sul razionamento dell’acqua, della luce e delle mutande sarebbero tutte iperboli ridicole se non fossero lo specchio di una follia da cui non si esce più con le buone maniere. Ci ritroviamo alleati con una banda di farabutti e governati dai loro manutengoli, esattamente come ottant’anni fa. E vinceremo solo se perderanno loro.

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