Un 25 aprile di regime

I missili lanciati sulla folla dalle milizie neonaziste ucraine fanno rima con i gas letali usati qualche anno fa dai tagliagole islamisti nelle città siriane ed entrambe le cose sono evidentemente frutto del medesimo tentativo di demonizzare il nemico agli occhi di un’opinione pubblica che ormai nei regimi occidentali ha perduto la residua facoltà di influenzare le scelte politiche ed è soggetta al ‘pilota automatico’ della dittatura neoliberale. Sembrerebbe una contraddizione ma non lo è affatto perché da questi popoli si pretende obbedienza, non solo nell’indossare museruole a comando e fare da serbatoio umano per redditizi cocktail biologici, ma anche nel rassegnarsi ad un’esistenza di privazioni mentre vengono progressivamente derubati d’ogni bene e quotidianamente soggetti ad un lavacro di menzogne.
La contraddizione invece sussiste nel fatto che in maggioranza non si crede affatto a ciò che viene propinato dai media di regime e tuttavia si vive il bombardamento mediatico come una sorta di evento naturale contro cui non vale la pena opporsi. E che la feroce propaganda anti-russa non stia ottenendo il risultato sperato da chi paga ed è pagato per diffonderla, lo dicono i sondaggi, secondo cui la responsabilità del conflitto in corso è degli Usa e/o dell’Ucraina per il 52,9% degli intervistati.
Un dato analogo (46,9%) si ha tra coloro che vorrebbero rinunciare a ulteriori sanzioni contro la Russia, ma ancora più rilevante (53,8%) il numero di coloro che ritengono giustificata totalmente o anche solo limitatamente al Donbass l’offensiva russa. Quanto alla possibilità di adesione dell’Ucraina alla Nato, le risposte fortemente negative raggiungono il 54,3% (i dati qui riportati sono presi da TermometroPolitico, progetto d’indagine non certo imputabile di vicinanza a Mosca).
Se un apparato mediatico che dispone di tutti i canali televisivi, di tutti i giornali e degli indirizzi sulle prime schermate dei motori di ricerca non convince nemmeno la metà dei destinatari, il suo problema non deriva solo da tecniche di persuasione rozze e infantili ma evidenzia lo scarso livello di credibilità delle istituzioni politiche. C’è da aspettarsi che tale fenomeno si amplificherà man mano che sul paese si abbatteranno gli effetti delle scelte irresponsabili e servili di governi privi di avallo elettorale, esecutori di un’agenda preparata nei club transnazionali dell’affarismo.
Se la tv non produce più dibattiti ma soltanto cori liturgici in cui ogni opinione che non resta nei binari russofobici viene bandita o ridicolizzata, una quota di pubblico dopo un po’ se ne accorge. Se a ciò si aggiungono le iperboliche stupidaggini quali ad esempio il divieto di parlare di Dostoevsky, di suonare Tchaikovsky o l’esclusione degli atleti russi dalle gare sportive, tutti avvertono che ci si trova ormai oltre i confini del ridicolo. Se infine ciò viene condito da panzane quotidiane intorno ai russi che stuprano e uccidono tutti quelli che capitano a tiro e si sparano i missili addosso per incolpare gli ucraini, ecco che tutto lo sporco lavorio dei nostri mezzibusti e imbrattacarte di regime può almeno in parte ottenere l’effetto opposto.
Evidentemente i banditori con l’elmetto Nato credono di poter manipolare la percezione collettiva della realtà e di suggestionare le masse annunciando che Putin fa il bagno nel sangue di cervo, quasi come se stessero guardando l’oceano dall’altro lato e avessero a che fare con un pubblico che crede ai santoni televisivi e ai miracoli in diretta.
Eppure sappiamo bene che diffidare delle fandonie non ci libera automaticamente da chi le racconta e che la strategia che sta dietro a tutto ciò non si basa solo sulla capacità di persuasione ma soprattutto sul soffocamento di ogni voce dissidente, come hanno dimostrato ampiamente questi anni di terrorismo a sfondo sanitario e come ad esempio e nel suo piccolo evidenzia oggi l’innocua parabola televisiva del prof. Orsini, messo in croce dai giannizzeri della narrazione ufficiale nonostante ad ogni apparizione reciti il preambolo senza il quale non si accede al piccolo schermo e cioè che lui condanna l’offensiva russa e sta dalla parte dei nazisti, pardon volevo dire dell’Ucraina. Ma ha la colpa di aggiungere che la guerra, se così si può definire il massacro di civili all’interno di un progetto genocida, avviene laggiù da otto anni proprio per mano ucraina e che nessuno qui ha mai voluto accorgersene.
Eppure vediamo che lo scetticismo verso i pensierini del minculpop naziatlantista non si traduce in voci alternative se non grazie a piccole oasi di resistenza e di ricerca della verità, in un deserto nato soprattutto dal collaborazionismo di quelle forze politiche e sindacali che hanno reso imbarazzante e improprio in qualsiasi contesto l’uso del termine Sinistra. E non mi riferisco ovviamente al Pd ed ai suoi cascami parlamentari, che fatico a distinguere dai mercenari dell’Azov, bensì agli sciroccati che domani mattina, 25 aprile, andranno a portare i fiorellini sulle lapidi dei partigiani e nel contempo faranno le marce armati di bandiere arlecchine per chiedere che si faccia subito la pace con i nazisti. Ma non prima di essersi prestati al gioco di chi snatura la ricorrenza agganciandola ad una serie di altri eventi e situazioni che non hanno nulla a che vedere con la Liberazione dal giogo nazifascista. Cosicché mi è già capitato in questo giorno di udire concioni sui curdi del Rojava, sul popolo Saharawi, sul genocidio armeno e finanche sui Mapuche, mentre in piazza sventolava la bandiera palestinese e un poco più in là pure quella israeliana, in mancanza di quella della brigata ebraica. E’ chiaro che se il 25 aprile si festeggia di tutto è come se non si festeggiasse più nulla e soprattutto nella testa di chi è abbastanza giovane da aver frequentato una scuola ormai privata dell’insegnamento della storia, si perde completamente il senso della ricorrenza. Un po’ come se l’8 marzo si manifestasse per i diritti della donna ma anche contro le barriere architettoniche e per i diritti degli uomini separati. Quest’anno poi spunterà anche qualche bandiera ucraina in mezzo ai cori del ‘BellaCiao’ che ormai intonano anche gli Yanomami nella foresta pluviale, perché l’importante per costoro è mostrare il proprio amore per la pace, qualunque significato abbia tale termine nelle loro teste e peccato che sono nati troppo tardi per proporre una scampagnata con Primo Levi e Kappler.
Bene, l’avranno costoro la loro pace e se quella finora patita non gli basta, il regime già ne sta preparando una nuova versione, anche grazie ai centomila ucraini giunti finora in Italia, certamente non tutti tatuati con la svastica ma quanto basta per iniziative del tipo già constatato nei primissimi giorni di accoglienza, attraverso un assalto incendiario all’ambasciata bielorussa, l’intimidazione a Senigallia contro la presentazione del libro di Sara Reginella sul martirio del Donbass, l’aggressione ad una negoziante russa a Torino e ultimo in ordine di tempo il pestaggio di un’attrice, anche lei russa, nipote del poeta Brodskj.
Possiamo essere certi che questa nuova manovalanza squadrista, assi utile a chi va perfezionando il nostro ingresso in un’epoca di rinunce e massima indigenza, potrà tranquillamente organizzarsi senza essere infastidita dai gendarmi di uno Stato che in fondo non presenta significative dissonanze dalla banda di criminali a cui per superiori disposizioni sta servilmente inviando armi e quattrini.
Proprio vero che anche questa volta a svegliarci e imporci di agire organizzati non sarà la nostra capacità di leggere gli eventi bensì le bastonate del regime. Ché se così non fosse non si piomberebbe nell’abisso e non vi sarebbe poi un 25 aprile per ricordarci di quando ne siamo usciti.

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